Fondi pensione: recupero dei rendimenti nel 2023 ma conta la scelta del comparto

Anche nel 2023 gli iscritti e i contributi al sistema italiano di previdenza complementare hanno confermato il trend di crescita, a cui si è aggiunto il deciso recupero delle risorse destinate alle prestazioni grazie al positivo risultato delle gestione finanziaria in scia alla ripresa dei mercati dopo le forti perdite del 2022. Secondo la relazione annuale COVIP, alla fine dello scorso anno le 302 forme pensionistiche contavano 9.571.353 iscritti, il 3,7% in più rispetto al 2022, a cui corrispondono 10,7 milioni di posizioni in essere, con un tasso di partecipazione in rapporto alla forza lavoro del Paese pari al 36,9% (36,2% nel 2022).

Nel dettaglio, le nuove adesioni sono state 737.000 rispetto alle 826.000 dell’anno precedente, di cui 469.100 nuove adesioni esplicite (il 63,7% del totale), 205.400 tramite il meccanismo delle adesioni contrattuali e 62.200 attraverso il silenzio-assenso. Approfondendo l’analisi della struttura dell’offerta previdenziale, ai fondi negoziali aderiscono in 3,896 milioni  (+5,4% rispetto al 2022), i fondi aperti contano 1,902 milioni di iscritti (+5,9%) e i PIP “nuovi” 3,603 milioni (+2,2%). Includendo anche i circa 294.000 iscritti dei “vecchi” PIP ed escludendo le doppie iscrizioni tra PIP “nuovi” e “vecchi”, il segmento dei piani individuali di tipo assicurativo conta 3,860 milioni di aderenti. Completano il quadro i 656.000 iscritti ai fondi preesistenti.

Nel complesso, la contribuzione media risulta essere di 2.810 euro, ancora lontana dal limite massimo di deducibilità annuale di 5.164 euro, con la sola eccezione dei fondi preesistenti che, potendo contare su platee più mature e su settori caratterizzati da retribuzioni più elevate, registrano un contributo medio di 8.050 euro. Non sorprende, infatti, come l’entità dei versamenti vari significativamente al crescere dell’età, rispetto al genere (la contribuzione media è maggiore per gli uomini: 3.010 euro contro i 2.540 euro delle donne) e alla regione di residenza, riflettendo caratteristiche e struttura del mercato del lavoro italiano. Il contributo medio è di 1.810 euro tra i 25 e i 34 anni per arrivare a superare ampiamente i 3mila euro oltre i 50 anni di età, mentre a livello geografico la distribuzione della contribuzione pro capite su base regionale rispecchia il dualismo territoriale che caratterizza l’economia nazionale: valori superiori alla media si registrano in quasi tutte le regioni del Nord Italia e anche in alcune regioni del Centro; al contrario, il Sud e le Isole sono caratterizzati da contribuzioni più basse della media, che in diversi casi non superano i 2mila euro.

Per quanto riguarda invece le risorse complessivamente destinate alle prestazioni, queste sono cresciute del 9,1% a 224,4 miliardi di euro, pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane, con un aumento rispetto al 2022 di 18,8 miliardi di euro determinato principalmente dal saldo positivo della gestione finanziaria, pari a 11,3 miliardi di euro, grazie al recupero dei corsi dei titoli in portafoglio dopo il crollo del 2022.

 

I risultati dell’ultima Relazione COVIP: focus su linee di investimento e rendimenti

Passando all’analisi delle linee di investimento, restano predominanti i profili con una quota azionaria bassa o addirittura nulla, complice anche un’età media degli iscritti di 47 anni che lascia presupporre una preferenza meno spiccata verso investimenti più rischiosi. Dalla distribuzione degli iscritti per profilo di investimento ed età, infatti, si osserva una propensione maggiore per i profili azionari e bilanciati nelle classi di età più giovani (fino a 29 anni); nelle fasce centrali (30-54 anni), dove si colloca la maggioranza degli iscritti, i profili a rischio più basso si mantengono su livelli tra il 45 e il 50%, di cui i tre quarti costituiti da garantiti. Questi ultimi profili assumono via via un peso predominante a partire dai 55 anni di età.

Figura 1 – Iscritti alle forme pensionistiche complementari per profilo di investimento e classi di età

Figura 1 - Iscritti per profilo di investimento e classi di età

Fonte: Relazione COVIP per l’anno 2023

Nel complesso, i garantiti si confermano preminenti, con il 37,1% degli iscritti, mentre gli obbligazionari concentrano un ulteriore 12,8%. Nei profili bilanciati si colloca il 39,9% degli iscritti; più esiguo il peso degli azionari, il 10,3%. Da rilevare tuttavia come negli ultimi anni, il peso dei profili garantiti sia progressivamente diminuito: rispetto al 2019 è sceso di 5,5 punti percentuali a favore soprattutto dei profili più rischiosi (azionari e bilanciati). In particolare, in rapporto alle nuove iscrizioni effettuate nel corso del 2023, il 45,4% ha preferito profili bilanciati e il 16,9% azionari; a quelli garantiti si è iscritto il 29% del totale e ai profili obbligazionari il restante 8,7%.

A livello di rendimenti, nonostante le tensioni geopolitiche, nel 2023 l’andamento dei mercati finanziari ha beneficiato delle aspettative di un’inversione di rotta nelle politiche monetarie restrittive messe in atto dalle principali Banche Centrali per raffreddare l’impennata inflazionistica seguita al periodo pandemico. In tale contesto, i risultati delle forme pensionistiche complementari sono stati ampiamente positivi, non riuscendo a recuperare appieno le perdite registrate l’anno precedente ma tornando a battere il benchmark della rivalutazione del TFR (nel 2023 pari all’1,6%). I rendimenti medi aggregati hanno visto i fondi negoziali guadagnare il 6,7% (-9,8% nel 2022), i fondi aperti il 7,9% (-10,7% nel 2022) e le gestioni unit linked di ramo III dei PIP l’8,4% (-11,5% nel 2022). Scendendo nel dettaglio, i comparti azionari hanno registrato le performance migliori, con rendimenti in media pari al 10,2% nei fondi negoziali, all’11,3% nei fondi aperti e all’11,5% nei PIP. Le linee bilanciate hanno in media reso il 6,9% per i negoziali, l’8,3% negli aperti e il 7,1% nei PIP. Le linee obbligazionarie miste hanno guadagnato il 7,2% nei fondi negoziali, il 4,4% nei fondi aperti e il 2,9% nei PIP di ramo III; quelle obbligazionarie pure hanno registrato rendimenti del 3% nei fondi negoziali e del 4,4% nei fondi aperti. Infine, le gestioni separate di ramo I dei PIP hanno limitato il guadagno all’1,3%.

Figura 2 – Rendimenti netti medi annui delle diverse forme pensionistiche complementari

Fonte: Relazione COVIP per l’anno 2023

Come detto, però, la buona performance del 2023 non è stata sufficiente a compensare il forte calo dell’anno precedente, così come risulta evidente dai rendimenti dell’ultimo triennio: a fronte di una rivalutazione del TFR del 4,5% e di un tasso di inflazione del 5,1%, nel 2020-2023 i fondi negoziali hanno ottenuto un rendimento medio dello 0,3%, i fondi aperti dello 0,8% e i PIP del 2,1%. Ampliando invece il periodo di analisi, più in linea per una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale dati gli orizzonti temporali più lunghi in ragione degli obiettivi perseguiti, nel decennio 2013-2023 i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,2 e il 4,5%. Viceversa, le linee garantite e quelle obbligazionarie mostrano rendimenti medi poco superiori allo zero; le linee bilanciate evidenziano infine rendimenti medi che vanno dall’1,9% dei PIP di tipo unit linked al 2,7% dei fondi negoziali e al 2,9% dei fondi aperti.

Appare quindi evidente come la scelta della linea di investimento costituisca un elemento che incide significativamente sull’accumulazione della propria posizione previdenziale, con l’orizzonte di lungo periodo che caratterizza questa tipologia di investimento che consente l’adozione di un maggior grado di rischio soprattutto per le classi di età più giovani. Tuttavia, circa la metà degli aderenti ha allocato la propria posizione previdenziale in linee di investimento con una quota azionaria marginale, se non addirittura nulla. I minori rendimenti ottenuti dalle linee garantite rispetto a quelle a maggiore contenuto azionario e la tendenza da parte degli iscritti a rimanere nello stesso comparto possono quindi determinare un assetto subottimale del portafoglio previdenziale e, in particolare, incoerente rispetto all’età.

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