Meloni e Schlein: la solitudine dei numeri Uno di oggi e la lezione di Antonio Gramsci

ROMA – Da una parte c’è Giorgia Meloni, premier di Governo e leader di Fratelli d’Italia, che ogni giorno non solo deve tenere a bada i suoi alleati litigiosi ma pure preoccuparsi che i suoi parlamentari eseguano i suoi ordini senza defezioni. Dall’altra c’è Elly Schlein, leader del Pd, il maggior partito di opposizione, costretta ogni giorno a ingoiare rospi per non accapigliarsi col M5S di Giuseppe Conte e il resto dell’armata brancaleone dell’opposizione che ogni giorno ne inventa una per marcare l’ennesima differenza rispetto ai loro (im-possibili?) alleati. La leader Dem e la premier di Governo, di fatto, costrette a sentirsi sole, una solitudine per forza di cose: sono due giovani donne al comando, con attorno un esercito di maschietti fino a ieri imperanti, ora spodestati, che non vedono l’ora di tornarci loro ai posti di comando.

In una fase come l’attuale, dove non solo la gente comune pensa di essere Superman o Superwoman ma anche l’ultimo dei politici pensa di essere pronto per fare il Capo dello Stato, ecco, ‘dirigere’ una simile orchestra alla fine può risultare non solo problematico ma assai difficile. Per quanto riguarda la premier Meloni lo si è visto in Parlamento convocato per eleggere un membro della Corte Costituzionale. Meloni voleva il suo consigliere giuridico, ma nonostante il suo partito sia il più forte di tutti, nonostante sia appoggiata dalla sua maggioranza parlamentare, questo non è bastato, alla fine non aveva i voti necessari ed è stata costretta a ripiegare. Ci proverà di nuovo?

Sull’altra sponda c’è la leader del Pd, arrivata a conquistare la segreteria nazionale perché tutti i vecchi marpioni non l’avevano vista arrivare, adesso si ritrova a dirigere una combriccola dove ogni giorno c’è da preoccuparsi. E non importa se la segretaria è riuscita a spedire lontano da lei, con incarichi e candidature, tanti vecchi leader. Non è bastato, perché ogni giorno spunta un nuovo capetto che vuol dire la sua e poi ci sono tanti DEM che governano nei loro territori che reclamano spazio politico e vogliono manovrare in pace. Tutto ciò accresce la solitudine della leader Dem che in molti ormai dipingono stretta alla sua piccola cerchia di fedeli collaboratori che mai e poi mai la tradirebbero.

Attorno ai leader, in situazioni come queste, di solito c’è un silenzio assordante. Nessuno parla, ma i pensieri viaggiano alla velocità del suono. Aspettano. In un caso, la battuta d’arresto sulla nomina del membro della Corte Costituzionale, con la speranza che la premier accetti di trattare e cedere. Dall’altra il risultato delle prossime elezioni regionali in Emilia-Romgna, Liguria e Umbria. Per il Pd, che in tutte ha piazzato un suo candidato alla presidenza, fino a poco tempo fa sembrava essere una passeggiata, che alla fine la partita sarebbe finita tre a zero, con Liguria e Umbria tolte al Centrodestra.

Adesso qualcosa è cambiato. C’è timore, i sondaggi in Liguria, si mormora tra i DEm, non sono proprio incoraggianti, il candidato Bucci del Centrodestra è ben piazzato altro che in caduta. Pure in Umbria, soprattutto tra la sinistra sinistra, hanno da ridire sulla ‘cattolicissima’ sindaca di Assisi scelta per togliere la presidenza oggi in mano alla Lega. Metti caso che alla fine ai Dem resti solo la scontata Emilia-Romagna, ecco in quel caso in molti scommettono che i sussurri di oggi si trasformeranno in grida. E visto che sia a destra che a sinistra si torna a parlare di Antonio Gramsci, forse qualche riga tratta dai suoi quaderni, scritti in solitudine nel carcere dove lo avevano rinchiuso i fascisti, potrà aiutare chi ha compiti dirigenti a non commettere gli stessi eterni errori.

“… come si può dirigere nel modo più efficace (dati certi fini) e come pertanto preparare nel modo migliore i dirigenti (e in questo più precisamente consiste la prima sezione della scienza e dell’arte politica), e come d’altra parte si conoscono le linee di minore resistenza o razionali per avere l’obbedienza dei diretti o governati. Nel formare i dirigenti è fondamentale la premessa: si vuole che ci siano sempre governati e governanti oppure si vogliono creare le condizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? Cioè si parte dalla premessa della perpetua divisione del genere umano o si crede che essa sia solo un fatto storico, rispondente a certe condizioni? Occorre tener chiaro tuttavia che la divisione di governati e governanti, seppure in ultima analisi risalga a una divisione di gruppi sociali, tuttavia esiste, date le cose così come sono, anche nel seno dello stesso gruppo, anche socialmente omogeneo… Dato che anche nello stesso gruppo esiste la divisione tra governanti e governati, occorre fissare alcuni principii inderogabili, ed è anzi su questo terreno che avvengono gli “errori” più gravi, che cioè si manifestano le incapacità più criminali, ma più difficili a raddrizzare. Si crede che essendo posto il principio dallo stesso gruppo, debba avvenire senza bisogno di una dimostrazione di “necessità” e razionalità non solo, ma sia indiscutibile (qualcuno pensa e, ciò che è peggio, opera secondo questo pensiero, che l’obbedienza “verrà” senza essere domandata, senza che la via da seguire sia indicata). Così è difficile estirpare dai dirigenti il “cadornismo”, cioè la persuasione che la cosa sarà fatta perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta: se non viene fatta, “la colpa” viene riversata su chi “avrebbe dovuto” ecc… Posto il principio che esistono diretti e dirigenti, governati e governanti, è vero che i partiti sono finora il modo più adeguato per elaborare i dirigenti e la capacità di direzione (i “partiti” possono presentarsi sotto i nomi più diversi, anche quello di anti-partito e di “negazione dei partiti”; in realtà anche i così detti “individualisti” sono uomini di partito, solo che vorrebbero essere “capipartito” per grazia di dio o dell’imbecillità di chi li segue)…”.
(Quaderno 15 II Miscellanea)

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