Giustizia, Anf: “Non comprimere i tempi dei processi a discapito del diritto di difesa”

PARMA – I tempi del processo non possono essere compressi a discapito del “pieno dispiegamento del contraddittorio e di effettiva ricerca della verità fattuale”. È il monito di Giampaolo di Marco, segretario generale dell’Associazione nazionale forense (Anf), lanciato oggi nel corso della sua relazione di apertura del congresso nazionale, a Parma (fino al 22 settembre). “Da oltre tre decenni, tutti gli interventi legislativi che si sono succeduti in materia di processo sono andati unicamente nella direzione di restringere l’accesso dei cittadini al processo o quantomeno ad allontanarli dagli uffici giudiziari pubblici, spostando altrove la domanda di giustizia”, sottolinea Di Marco. Governi “di ogni colore politico hanno affrontato il problema della eccessiva durata dei processi sostanzialmente sempre nello stesso modo: creando nuove condizioni di procedibilità, limitando i tempi e gli spazi difensivi per le parti, introducendo sanzioni processuali per le parti soccombenti, aumentando il contributo unificato. In una parola: scoraggiando il ricorso al processo”, incalza il segretario. Anche “le recenti riforme processuali si sono mosse in questo alveo. La nostra associazione pensa che sia necessario ribadire la necessità di dare piena attuazione al diritto di rango costituzionale di ciascuno all’accesso alla giustizia ed alla difesa dei propri diritti e interessi legittimi”.

“Crediamo che la velocità del processo non dovrebbe essere ricercata come valore assoluto, e quindi a discapito della necessità di pieno dispiegamento del contraddittorio e di effettiva ricerca della verità fattuale”, le parole di Di Marco. La “necessità di deflazionare i ruoli giudiziari non dovrebbe essere soddisfatta attraverso una compressione dei tempi e degli strumenti di difesa a disposizione delle parti, né esasperando gli sbarramenti e i regimi decadenziali. Impariamo a gestire il tempo come una risorsa e non come un costo”, spiega.

DI MARCO (ANF): IA NON POTRÀ FARE, MA MAI ESSERE UN AVVOCATO

“L’intelligenza artificiale potrà forse fare l’avvocato, ma non sarà mai un avvocato”, afferma Di Marco. Con “l’avvento dell’intelligenza artificiale e, più in generale, della tecnologia che attraversa il processo, il procedimento e la professione”, ragiona Di Marco, “è naturale chiedersi se tali nuove modalità di costruzione del processo siano potenzialmente lesive del diritto alla difesa e, di conseguenza, se siano compatibili con la nostra Costituzione”. Letture specializzate, riferisce il segretario, “riportano che negli Stati Uniti si assiste ad una costante e sempre maggiore trasposizione delle prestazioni di servizi di consulenza legale su piattaforme telematiche, in cui i sistemi di intelligenza artificiale stanno diventando, ad esempio, la modalità principale di gestione della giustizia arbitrale e delle procedure di mediazione e di gestione alternativa delle controversie”. La professione forense “è destinata quindi a reinventarsi, nonostante le inevitabili criticità” che “possono sorgere in tema di trattamento dei dati o di possibili errori da parte dell’avvocato”.

“Tutti interrogativi che preoccupano e non poco”, ammette Di Marco. Ecco perché il congresso ha dedicato due spazi alla discussione sull’intelligenza artificiale: uno, ricorda Di Marco, nella serata di domani durante una cena dal titolo “La cucina parmigiana incontra l’intelligenza artificiale” dove parteciperanno aziende e professionisti. Un altro nella tavola rotonda del sabato mattina, “il tutto dopo aver dato vita al progetto Fair Plai Professional Legal Artificial Intelligence insieme alla Pontificia Università dell’Antonianum e al Diploma di Alta Specializzazione in Etica e Intelligenza Artificiale ad indirizzo giuridico”, afferma Di Marco.

ANF: APPEAL PROFESSIONE AVVOCATO CALA, BISOGNA MUTARE PELLE

“Da alcuni anni, il numero degli avvocati nel nostro Paese è in flessione. Dopo una crescita costante durata per decenni, che ci ha portati nell’arco di quarant’anni a passare da poco meno di 40.000 avvocati a oltre 240.000 iscritti agli albi, da poco tempo vi è stata una inversione di tendenza”, evidenzia Di Marco. Questo fenomeno “è innanzitutto la conseguenza delle politiche sociali, economiche e formative adottate nel tempo al fine di realizzare una riduzione del numero di avvocati. Da alcuni è stato salutato anche come una positiva autoregolazione del mercato, ma non dimentichiamo che trattasi comunque anche di una spia della preoccupante perdita di appeal della professione forense nelle nuove generazioni, che nasce dalla crisi reddituale e di ruolo sociale della medesima”, avverte Di Marco. La “nostra associazione da molto tempo segnala che il rilancio della nostra professione non possa che passare dall’ampliamento di competenze dell’avvocatura e dalla ricerca di nuovi modelli di esercizio professionale”. L’avvocatura italiana “è ancorata ad un modello professionale superato, che resta incentrato sullo studio mononucleare, con un basso grado di specializzazione, una scarsa propensione alla multidisciplinarietà e un’attività incentrata sul giudiziale”.

“Per poter competere nel moderno contesto economico- suggerisce Di Marco-, occorrerebbe che l’avvocatura mutasse pelle, abbracciando nuove competenze, forme di organizzazione professionale strutturate, collaborazioni multiprofessionali. A tale scopo, sarebbe necessario che le legge professionale accogliesse e incoraggiasse il ricorso a nuove forme di esercizio della professione e non invece che rappresenti come ora è – un elemento di blocco”. L’ordinamento professionale forense “contiene ancora oggi un gran numero di incrostazioni corporative, che non sono più adeguate alla realtà di un’avvocatura che necessita di evolversi e di adeguarsi ad una realtà economica in evoluzione”, sottolinea il segretario. “La presenza nell’attuale legge professionale di rigidità e divieti scoraggia, o talvolta rende del tutto impossibile, l’accesso a nuove forme di esercizio della professione”. In nome “dell’esigenza di preservare l’autonomia e indipendenza di giudizio degli avvocati, sono state previste e mantenute nel tempo una serie di irragionevoli restrizioni e divieti che nel tempo si sono rivelati essere un grave ostacolo allo sviluppo della categoria”, spiega Di Marco.

ANF: CRONICA PROTERVIA CON CUI POLITICA MANIPOLA LEGISLATURA

“Proprio ieri la politica ha inteso intervenire nella legislazione forense, tentando di riportare il limite dei mandati elettivi consecutivi da due a tre” nei consigli degli ordini forensi. “L’Associazione ha prontamente reso nota la sua ormai storica posizione lamentando un ritorno al passato a fronte di numerose pronunce della Cassazione e della Corte Costituzionale. Notizia di poche ore fa, l’emendamento è stato ritirato”, rivendica il segretario generale dell’Associazione nazionale forense. “Non voglio tornare sul tema del doppio mandato, ma intendo segnalare la ormai cronica protervia con la quale la politica manipola la legislazione in materia di giustizia ed avvocatura senza minimamente interrogarsi sugli effetti e senza neanche ascoltare l’avvocatura stessa”, punta il dito Di Marco. “Il nostro ruolo, professionale, sociale, civico e politico rende l’avvocato una figura cruciale per la democrazia e la politica, a ogni livello, non può ignorarci, soprattutto quando affronta i temi dell’organizzazione della giustizia e della professione forense”, avverte infine il segretario.

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